Cultura

Solo il volontariato non basta: uno studio sul futuro della FAC come impresa culturale

Dalila Di Gioia
Luigi Di Gioia  discute una tesi di laurea sulla Fondazione Archeologica Canosina
Luigi Di Gioia: "La Fondazione deve convogliare risorse private e svolgere attività imprenditoriale ed economica volta a creare redditività e ricavi reinvestibili nelle attività di valorizzazione"
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La Fondazione Archeologica Canosina (FAC) è stata protagonista durante la sessione autunnale dell’Anno Accademico 2017-2018 delle sedute di Laurea Magistrale in ‘Management dei Beni Culturali’, il corso dell’Università di Macerata che “forma professionisti specializzati nella gestione integrata dei beni e degli istituti culturali (musei, archivi, parchi archeologici e altri istituti e luoghi della cultura), e nell’implementazione di politiche per la valorizzazione sociale ed economica e per la conservazione del patrimonio a scala urbanistica”.

Nella seduta del 13 novembre u.s. l’istituzione canosina è stata il ‘caso di studio’ di una tesi in ‘Gestione e organizzazione delle aziende culturali’ dal titolo: “La Fondazione Archeologica Canosina e la valorizzazione del patrimonio culturale di Canosa di Puglia. Dall’analisi del modello di gestione alle prospettive di sviluppo.

Si tratta di un lavoro articolato, che parte dalla descrizione del sistema legislativo vigente in materia di valorizzazione dei beni culturali e dalla definizione dei ruoli degli attori coinvolti (Stato, Regioni, Enti locali e soggetti privati), analizza i modelli di governance e i rapporti di cooperazione tra pubblico e privato, evidenzia il ruolo del Terzo Settore e, in particolar modo, delle ‘fondazioni di partecipazione’, anche con la descrizione di alcuni casi esemplari come le fondazioni di Aquileia, Ravenna e Torino.

Infine, analizza sia l’organizzazione interna della FAC, sia il sistema di gestione del patrimonio culturale ad esso affidato, evidenziandone aspetti positivi e negativi, e fornisce alcune proposte migliorative, affinché si possa generare un modello virtuoso come premessa per la creazione di un museo/territorio e di nuove strategie di marketing. Un lavoro che affronta il tema della valorizzazione del patrimonio culturale, attualmente molto dibattuto, a tutti i livelli e, conseguentemente, anche nella nostra città. Ne discutiamo qui con Luigi Di Gioia, autore della tesi.

Iniziamo subito da un chiarimento necessario. La Fondazione Archeologica Canosina (FAC) come ‘caso di studio’ in una tesi in ‘Gestione e organizzazione delle aziende culturali”: ma la FAC è una organizzazione di volontariato o un’impresa?

È un po’ entrambe le cose. Innanzitutto la FAC è una fondazione, associabile alla tipologia della ‘fondazione di partecipazione’, ovvero un istituto che presenta alcune particolarità dovute al fatto di coniugare l’aspetto personale, proprio delle associazioni, con quello patrimoniale, tipico delle fondazioni classiche. Si tratta, in particolare, di un soggetto giuridico senza scopo di lucro al quale possono ‘partecipare’ più soggetti: Stato, Regioni, Provincie e Città metropolitane, Comuni, enti pubblici e anche privati, fino ai semplici cittadini.

Come una qualsiasi associazione presenta al suo interno soci e volontari, comprese le cariche sociali (ad esempio: presidente e consiglio d’amministrazione), che espletano i loro compiti e i loro incarichi volontariamente e a titolo gratuito. Ma una fondazione per raggiungere i suoi scopi espleta delle attività, che possono anche essere economiche e commerciali (ad esempio: la gestione del proprio patrimonio e/o di quello ad essa affidato) e di conseguenza, pur non perseguendo profitti e utili, non può essere indifferente alla redditività, ovvero alla capacità di ottenere le risorse necessarie allo svolgimento di queste attività nel rispetto della propria ‘mission’: pertanto è da considerarla a tutti gli effetti un’impresa.

Dall’analisi del ‘caso di studio’ sono emersi aspetti positivi e altri negativi: ci può fare almeno un esempio?

L’entusiasmo dei volontari. È questo uno degli aspetti positivi che ha caratterizzato la storia della FAC: avere una struttura organizzativa semplice, priva di costi (strutturali e correnti) eccessivi, basata sull’impegno e sull’entusiasmo degli amministratori, dei soci e dei volontari. Si tratta di un aspetto tipico delle associazioni. Il volontariato ha rappresentato, e rappresenta, certamente una manna per il mondo del patrimonio culturale, col proprio impegno costante e l’innata passione sociale. Non vi è alcun dubbio circa il miglioramento apportato al sistema dei beni culturali di Canosa dai volontari in genere e dalla FAC in particolare.

Di contro, però, una fondazione è a tutti gli effetti un’impresa e il solo volontariato non basta, non può bastare</strong>; pertanto, in negativo, si può registrare un impegno del volontariato non omogeneo e costante, così come una mancanza di competenze e abilità specifiche per una gestione economica, efficace ed efficiente dell’ente, di conseguenza una scarsa progettualità e poco impegno nella ricerca fondi, bandi, finanziamenti, ecc.

Quale potrebbe essere una soluzione?

L’unica soluzione è considerare la FAC per quello che è: un’impresa culturale. Senza entrare ora troppo nei dettagli tecnici e gestionali, mi limiterei qui a suggerire alla FAC di adottare un modello di gestione tipicamente aziendale, scegliendo una struttura organizzativa di tipo funzionale, fortemente orientata ai processi e alla responsabilizzazione di tutto il personale, sia esso ancora in parte volontario e impegnato a titolo gratuito, sia esso necessariamente dipendente, professionale e adeguatamente retribuito.

Una FAC in grado, quindi, di generare un sistema gestionale virtuoso del patrimonio culturale. Solo così si potrà meglio indirizzare le energie, l’entusiasmo, le capacità e le professionalità della nostra comunità locale verso la definizione di un modello di governance più efficace ed efficiente.

Parliamo, quindi, di governance del patrimonio culturale locale. La fondazione può essere un modello vincente?

Si tratta di un modello sperimentato e diffuso in tutta la nostra penisola: guardiamo, tra i tanti esempi, ai casi interessanti e positivi di Aquileia, Ravenna o Torino. Nel settore dei beni culturali la ‘fondazione di partecipazione’ consente di raggiungere, nell’erogazione dei servizi, livelli qualitativi e quantitativi consentiti solo attraverso l’integrazione del settore pubblico col privato, data la costante necessità di contenere la spesa pubblica.

Risulta essere, pertanto, un interessante tentativo di costruire un modello italiano di gestione dei beni culturali che da una parte eviti processi di privatizzazione o di alienazione del nostro patrimonio, ma dall’altra consenta alla comunità, intesa nell’accezione più larga del termine, di partecipare a questo enorme progetto di rivitalizzazione del nostro patrimonio, ad una sua gestione ‘dal basso’. Pensate qui, è il caso di sottolineare, a ciò che è stata capace di fare la FAC negli ultimi due decenni, trasformando radicalmente l’approccio della nostra collettività, istituzioni comprese, al patrimonio archeologico e a salvarlo dal totale abbandono in cui versava.

La peculiarità tutta italiana del patrimonio culturale, è noto, sta nella capillarità della sua diffusione, proprio come nel nostro territorio, dove ad ogni passo vi è qualcosa da tutelare e valorizzare, rendendolo spesso ‘ingestibile’ e alle volte ‘abbandonato’. Le risorse pubbliche scarseggiano sempre più e lo Stato spesso non è in grado di intervenire. Come si può invertire la rotta?

Innanzitutto lo Stato e gli enti pubblici locali non devono smettere di contribuire con le proprie risorse alla tutela in primis e, conseguentemente, alla valorizzazione del patrimonio culturale, altrimenti vien meno il dettato costituzionale (art. 9). Poi, occorre gestire al meglio, con formule innovative, questa ‘eredità’ straordinaria e complessa.

Da più parti è stato evidenziato che la gestione non può essere più solo ed esclusivamente in mano allo Stato e alle strutture pubbliche, pertanto il dibattito sulle modalità di gestione dei beni culturali fa emergere la necessità di un’alleanza tra pubblico e privato, tra istituzioni e società civile, proprio come è avvenuto con la costituzione della FAC.La gestione ‘dal basso’ operata dalla FAC, con il coinvolgimento costante dei cittadini e delle istituzioni (Comune, Provincia, Ministero, etc.), nelle iniziative promosse ma ancor più nella stessa attiva partecipazione alla vita associativa (ogni cittadino può iscriversi alla fondazione e concorrere alla formazione della sua governance, al pari delle istituzioni), può ulteriormente fare dell’eredità culturale un elemento vivo e un fattore di coesione e di crescita della comunità locale, con il conseguente effetto di una diffusa percezione sociale del valore del proprio patrimonio culturale, la cui conservazione sarebbe perciò sempre più oggetto di collettive cure spontanee, assai più efficaci di ogni misura di tutela affidata alla forza delle leggi e delle connesse sanzioni.

La fondazione, inoltre, può e deve convogliare ulteriori risorse private, può e deve svolgere attività imprenditoriale ed economica volta a creare redditività e ricavi reinvestibili nelle attività di valorizzazione.

Dalila Di Gioia

martedì 11 Dicembre 2018

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